Perché è importante parlare di Gianni Rodari oggi?
Perché Gianni Rodari è stato probabilmente il primo scrittore e poeta, di altissima qualità, ad aver avuto il coraggio di dedicarsi esclusivamente all’infanzia, affrontando quello che da sempre colpisce la produzione letteraria destinata ai bambini: il pregiudizio di una letteratura di serie B.
Solo voltando le spalle ad Accademia e Arcadia, Rodari ha potuto dare un contributo corposo a un settore poco noto. Bisognava perciò interrompere l’attitudine degli intellettuali italiani di porsi in netto distacco dai propri ascoltatori per continuare a riferirsi, sempre e solamente, ai propri pari. Ciò che serviva per accorciare le distanze era tentare un dialogo vero, cioè provare a porre delle domande che suscitassero spontaneamente reazioni e risposte per cui lo scrittore che vuole parlare al bambino deve produrre condividendo le strutture mentali, il mondo sentimentale e il vocabolario dell’infanzia.
Non tutti gli autori che si avventurarono su questo sentiero seppero trovare la strada maestra, come accadde a Rodari che nonostante fosse amato dai bambini, dai maestri e lettori sparsi in tutto il mondo, era considerato dai critici uno altezzoso e superbo. Mica potevano prendere sul serio un tipo che vendeva libri scrivendo che “una volta un accento per distrazione cascò sulla città di Como mutandola in comò…”? Certo che no.
Rodari si è fatto strada nel mondo della letteratura con grande fatica: le case editrici e i circoli letterali erano poco interessati alle sue strambe invenzioni.
Fu un modesto giornalista, ma anche nella redazione de L’Unità di Milano lo guardavano come un tipo strano, sempre preso dalle sue storie e i suoi racconti. Poi ricordiamolo: era il 1947, sebbene già vicino al PCI, il partito era il Partito. La lotta, la politica aspra, gli ideali, l’Italia da “ricostuire”… non c’era tempo né voglia di giocare con le parole. Ma qualcuno intravide il talento del giovane piemontese originario di Omegna poiché L’Unità veniva letta anche in famiglia e Rodari ci teneva a rinunciare all’autorialità, quella conferita ai grandi intellettuali, per mettersi al servizio del pubblico e mai della propria realizzazione professionale. Intendo dire che a lui non importava diventare uno dei “grandi intellettuali”, la sua vita l’avrebbe passata volentieri a “servire” bambini e ragazzi, per la semplice gioia di farlo e non per “salire” di professione.Anche con Giulio Einaudi, che dal 1960 pubblicò le sue opere, le cose non furono semplici. Rodari, in maniera ironica – ma non proprio – si divertiva a chiamarlo sua “EMINENZA”, “CARDINALE” e “COMANDANTE”, facendo un po’ la parte di chi gioca con i ruoli di classe, ma sempre con la consapevolezza che da una parte c’è il sommo “EDITORE”, dall’altra l’umile scrivano.
Rodari aveva successo sì, ma si sentiva come un intruso, un popolare che fa giochi con le rime, ma nonostante il senso di inadeguatezza è andato avanti buttando giù bocconi immasticabili, con la consapevolezza di esser riuscito ad arrivare al cuore dei suoi preferiti: bambini, ragazzi e maestri tutti.
Forse Rodari dovrebbe essere qui oggi per vedere quanto si parli ancora del suo “l’ago di Garda” e di Alice che ogni sera aspetta il papà per una favola al telefono, dei suoi libri ancora in bella vista tra gli scaffali.
Forse potrebbe ricredersi e tornare a scrivere una rima, magari tra “l’ago Maggiore” e “l’ago Minore”.
Serena Palmese
Copertina Flickr