Fino alla metà degli anni novanta non esisteva in Italia alcuna produzione di narrative serializzate che si trattasse di continous serial aperto (soap opera) o chiuso (telenovela).
La prima soap opera prodotta localmente è stata Un posto al sole: ha fatto ingresso nei palinsesti della RAI nel 1996, arrivando sì tardi, in una televisione che aveva già quarant’anni, ma rappresentando il frutto di un grande lavoro di cooperazione tra il locale e il globale.
La necessità di questo tipo di cooperazione fu anche alla base del lavoro di un piccolo gruppo Rai che capì l’importanza del formato continuos anche per gettare le basi di una lavorazione industriale che potesse competere con il prodotto americano.
La fase immediatamente precedente fu contraddistinta da un declino del dramma televisivo italiano, a contribuire a questa “fuga dalla fiction”, il turbolento clima politico-istituzionale in cui si trovarono coinvolte sia la televisione pubblica che privata. Diventò difficile pianificare e fare proiezioni sul futuro, distogliendo dall’idea di investire su produzioni a media o lunga durata.
Ma nel corso di un decennio si passerà da una scarsità di quantitativo del prodotto ad una vera e propria età dell’abbondanza. Si arriverà infatti, nel 2005-2006, alle 700 ore di trasmissione di fiction italiana. Il periodo di forte ripresa comincia già alla fine degli anni novanta, tale periodo fu contraddistinto dalle capacità produttive e dalla popolarità del dramma domestico: ripresa legata in buona misura alla nascita di una industria televisiva italiana. Il rilancio del settore del dramma domestico ha preso avvio nel 1996, un anno considerato lo spartiacque verso la seconda età dell’oro della fiction italiana.
Un esempio di produzione industriale, realizzata tra gli altri dall’operatore globale Grundy International, divenuto il primo continous serial della televisione italiana, è la già citata soap quotidiana Un posto al sole, tutt’ora in onda sulla terza rete Rai, a 23 anni dal primo episodio. Ecco quindi che torniamo a con quanto detto all’inizio sul nesso tra i due paradigmi locale e globale nei nuovi formati che caratterizzano il palinsesto italiano.
Quella di Un posto al sole non è una storia di successo in senso convenzionale. Nel corso degli anni, e anche dopo aver superato la difficile fase iniziale (conoscitiva e di fidelizzazione), la soap non ha mai raggiunto livelli di ascolto particolarmente elevati, ma diviene un successo in quanto apripista nello sviluppo di un nuovo apparato industriale legato alla televisione.
I due serial quotidiani prodotti successivamente dalla televisione commerciale per la fascia pomeridiana di Canale 5, Vivere e Centovetrine, ad esempio, raggiungono già risultati maggiori in termini di audience, anche se, a proposito di “americanizzazione”, nessuna soap italiana è mai riuscita ad insidiare stabilmente il primato di popolarità di Beautiful, persistente eccezione alla regola. Né le trame né i temi sviluppati dalla soap di casa nostra ottengono in Italia la vasta risonanza e provocano l’intenso dibattito che così spesso circonda le soap americane e le telenovelas brasiliane.
Abbiamo già menzionato la comparsa di alcune daily soap di Canale 5, la stessa televisione pubblica ha lanciato più tardi Cuori rubati (Rai Due, 2002-2003), Sottocasa (Rai Uno, 2006-2007), Agrodolce (Rai Tre nel 2008), alcuni sono stati purtroppo dei fallimenti precoci, ma ciò che conta è che, a partire da Un posto al sole, la soap domestica è diventata parte integrante del panorama italiano. Il bilancio dei benefici è stato complessivamente positivo, potenziando le capacità produttive, spingendo verso un nuovo livello di occupazione nei comparti sia tecnici che creativi, creando perfino un piccolo star system, creando anche i presupposti per una seconda importante fase in cui il prodotto italiano invade il prime time.
Serena Palmese
Fonte copertina monclick.it
Vedi anche: http://www.ilcaffesospeso.net/2022/01/14/non-girarti-sono-ovunque/