C’era una volta una letteratura

La letteratura per l’infanzia si presenta come una letteratura che attraversa le epoche facendo dono dei propri tesori tanto ai più piccoli, quanto agli adulti.

Ma da sempre, questo tipo di letteratura ha dovuto opporsi prima di tutto a se stessa o meglio alla “sorella cattiva” che parallelamente produce, e continua a produrre, un numero infinito di libri intesi come strumenti di civilizzazione.

L’interessante storia dei libri e dei periodici destinati all’infanzia nasce in Italia negli stessi anni in cui nasce lo Stato nazionale. Fino alla metà dell’Ottocento la maggior parte delle opere tendevano ad essere piuttosto contegnose, a sfondo religioso e didascalico e nel periodo dell’unificazione, gli italiani in grado di usare la lingua nazionale per leggere e scrivere erano poco più del 2,5% della popolazione. In Italia, in questo periodo, si fronteggiano due identità dell’infanzia completamente opposte. Una sul piano borghese, intrisa di pedagogismo per cui il fanciullo viene investito da norme e divieti, inscritto totalmente nella famiglia che soffoca e incatena. Di contro sta l’infanzia del popolo: sofferta e tragica, intessuta di povertà e di lotta, di fame e di imprevisti.

Un’infanzia on the road, che si adultizza precocemente o viene schiacciata dal bisogno, scandita dai ritmi del lavoro.

A queste due condizioni di vita corrispondono due immagini dell’infanzia: la prima che invade i libri per fanciulli, i testi scolastici e l’iconografia e si presenta e si afferma, la seconda appare dispersa nel vissuto, priva di strumenti efficaci, di espressione, marginale ed emarginata3.

In Italia predomina un’immagine pedagogica dell’infanzia che dal versante borghese si estende anche nelle classi popolari e crea un modello di fanciullo sottomesso e perbene, devoto ai doveri e divieti. Cos , al sistema scolastico non solo viene affidato il compito di rimediare all’alto tasso di analfabetismo ma anche, e soprattutto, quello di educare le nuove generazioni ai valori della classe dominante.

Ogni occasione era buona per riaffermare qualche precetto morale, qualche buona norma da seguire, il sentimento del dovere, dell’onore e della patria. Tant’  che nei programmi della scuola italiana del 1860 venne lanciato subito il prototipo del perfetto libro di testo: il Giannetto di Luigi Alessandro Parravicini, opera che a Firenze ottenne il premio per il più bel libro di letteratura ad uso dei fanciulli e del popolo.

Il protagonista del libro, appunto Giannetto, incarna perfettamente l’ideale educativo del Risorgimento italiano e si presenta ai lettori così:

C’era una volta un fanciullo, il quale era tutto contento, perchè aveva imparato a leggere. Io sono ancora piccino, dicea fra sè medesimo, so poco; ma so leggere. Col mezzo dei libri e della scuola voglio istruirmi nelle cose necessarie a sapersi per diventare un uomo dabbene e capace di guadagnarmi di che vivere. Il libro che leggo, scritto per me e pe’ ragazzi della mia età. Io m’ingegnerò a capire quanto leggo: e se non intendo qualche cosa, pregherò il signor maestro, acciocché si compiaccia di spiegarmela.

Un progetto educativo che racconta le esemplari avventure di un figlio di un “onesto e probo” commerciante. Alla fine di un’infanzia passata a educarsi socialmente, il protagonista diventa prima un apprezzato artigiano poi, grazie alle sue doti e capacità imprenditoriali, agiato mercante, ricco e stimato industriale, grande signore.

La prima edizione del libro conta circa 780 pagine e assomiglia più a un’enciclopedia che a un libro per ragazzi. E se oggi capitasse di leggerlo, la tristezza e lo sconforto potrebbero essere dietro l’angolo, ma al momento della pubblicazione si conformava perfettamente alla moda dell’epoca.

I temi che Parravicini voleva insegnare ai più piccoli lettori attraverso la figura del protagonista Giannetto erano:

1) corpo umano, bisogno dell’uomo, suoi desideri;
2) mestieri, arti e scienze;
3) geografia;
4) scienze naturali;
5) racconti sui doveri dei fanciulli;
6) racconti morali tratti dalla storia d’Italia;

intrecciando poi due percorsi, uno nozionistico edenciclopedico, l’altro narrativo e “morale”, facendo comunque scuola.

Inizialmente adottato nel Lombardo-Veneto, presto trovò spazio in tutte le scuole d’Italia unita, divenendo il primo libro a diffusione nazionale. Ma la cosa curiosa – e forse oggi spaventosa – che all’interno del testo l’autore aveva inserito anche delle “AVVERTENZE” per genitori e maestri, perché  dovevano leggere anch’essi il Giannetto.

Qualunque libro che avesse tentato di scardinare l’intenzione della rigida educazione sarebbe stato destinato alla bocciatura, come accadde ai libri di Collodi.

Con la pubblicazione del Giannettino nel 1877, Collodi prova a riformulare la proposta scolastica del precedente Giannetto con un protagonista vivo, dagli occhi vispi e i capelli fiammanti. In qualche modo un rivoluzionario, che accetta i suoi difetti con consapevolezza, capriccioso, avido di conoscenza, ma buono.

Finalmente l’irruzione del Giannettino rappresenta il primo caso di scardinamento di quella ideologia che sacrifica l’infanzia all’altare della morale borghese; e la naturale reazione dell’ufficialità scolastica   quella di una scandalizzata difesa delle proprie rigorose certezze.

La produzione di libri e riviste per bambini diventa in Italia così ricca da coinvolgere anche i narratori della letteratura per gli adulti. Giornalismo e letteratura per ragazzi si incontrano seguendo la via comune dell’infanzia per alcuni decenni provando a soddisfare il desiderio dei pi  piccoli di leggere qualcosa di diverso dai libri già conosciuti a scuola.

Con l’autore fiorentino comincerà a diffondersi una letteratura divulgativa e divertente che assumer  ben presto una nuova fisionomia. Si levano voci più profonde e innovative, capaci di leggere in modo più attento la vita infantile e le sue tensioni.

Serena Palmese
Fonte copertina https://www.sari-mutiara.ac.id/s1-ipus.html

Vedi anche: http://www.ilcaffesospeso.net/2021/07/17/giu-le-mani-dai-miei-libri/