L’infanzia e la letteratura per l’infanzia si collocano al centro della nostra identità occidentale, tant’è che attraverso di essa è possibile comprendere non solo i libri per bambini, ma anche il nostro mondo e noi stessi.
L’infanzia vede il mondo in un modo tutto suo: lo vede fluido, incerto, in costante movimento, sempre sul punto di cambiare umore, lo vede misterioso e imprevedibile, il contrario di come lo percepiscono gli adulti, per i quali il mondo è qualcosa di “dato”, qualcosa che dopo un po’ diventa noto e che finirà per risultare anche monotono, proprio per la loro convinzione di averlo in qualche modo afferrato e fermato una volta per tutte dentro le maglie della propria logica.
Proprio per questo i bambini alludono sempre ad altre possibilità di essere qualcosa di diverso che è sempre desiderio di uscire da sé, perché l’io ci sta stretto.
Ed è così che solo mutevoli, indefinibili e contaminabili ci sentiamo veri, senza alcuna maschera sociale.
Il bambino è pervaso di curiosità, vuole sapere certe cose e le vuole sapere con insistenza, ma gli adulti dicono loro chedevono impararne altre così si distraggono rispetto a ciò che li interessa veramente. La curiosità – sembra ricordarci Il Piccolo Principe – è bambina.
I bambini guardano, esplorano, spiano e chiedono sistematicamente e instancabilmente: perché?
Agiscono spinti dall’insoddisfazione e dalla voglia di sbirciare dietro le quinte per non accontentarsi solo del reale.
Ma qual è il prezzo per aver ucciso la curiosità? La repressione del piacere di perdersi, di abbandonarsi, di lasciarsi andare e ritrovarsi completamente assorbiti da qualcos’altro, essere tutt’uno col resto e inconsapevoli, sembra poco?
Sempre più spesso, purtroppo, i più grandi si scagliano contro un certo tipo di fumetti, di letteratura e pellicole per ragazzi accusandolo di fomentare insane e violenti passioni nelle menti dei lettori.
Quando avvengono fatti violenti tra bambini, tanti genitori e adulti credono che la spinta maledetta venga, appunto, da alcune manifestazioni narrative, senza contare che sono tanti i fattori che influenzano il comportamento di un bambino, tra cui la condizione sociale, l’ambiente scolastico o un aspetto ereditario del carattere.
In modo particolare, ad essere accusate sono le narrazioni di genere (avventura, fantascienza, horror, fantasy, poliziesco ecc.). E così la narrativa di genere è stata per anni, ancora oggi, oggetto di critiche e di discussioni, considerata come il “cattivo” per un pubblico ancora troppo piccolo e ingenuo.
Eppure i ragazzi leggono, nonostante l’insegnante continui ad usare nell’aula scolastica esclusivamente i libri di testo e qualche volume di narrativa o di approfondimento degli argomenti previsti dai programmi scolastici; senza tener conto che al di fuori della scuola i loro alunni sceglieranno sempre altri generi di lettura, più vicini ai loro interessi (e non i Promessi Sposi) utilizzando i libri di testo quasi esclusivamente per svolgere i compiti.
Un libro, soprattutto in tenera età, può diventare un vero incontro su cui costruire la propria individualità e personalità.
Non siamo forse fatti anche di tutti i libri che abbiamo letto? E non è forse anche il libro un corpo? Fatto di profumo, di carne, di uno sguardo, di un modo di camminare ed esistere: un corpo erotico, lo definisce Massimo Recalcati.
Per leggere non è mai sufficiente solo la presenza della nostra mente, ma innanzitutto la presenza del cuore.
L’assenza di cuore deruba il libro del suo corpo e della sua anima, perché ogni lettura è come un incontro d’amore18 nel quale io leggo e vengo letto a mia volta. I libri che restano con noi sono quelli che solitamente si leggono prima dei trent’anni e che non si smette di rileggere per tutto il resto della vita (il mio libro del cuore probabilmente sarà Jack Frusciante è uscito dal gruppo. Una maestosa storia d’amore e di «rock parrocchiale»).
Per questo i primi libri letti sono quelli più decisivi, quelli che lasciano il segno e contrariamente alle buone bottiglie, i buoni libri non invecchiano. Ci aspettano sui nostri scaffali e siamo noi a invecchiare. Quando ci riteniamo abbastanza “invecchiati” per leggerli, li affrontiamo un’altra volta.
Un genitore non ha nessun diritto di dire al proprio figlio quali letture sono adatte per lui, i loro libri preferiti saranno, al 90%, quelli scelti da soli.
Leggere un bel libro, o meglio un libro che piace, rende felici.
E i bambini hanno lo stesso diritto di qualsiasi altro essere umano di qualsiasi età a essere felici, qui e ora, con il libro che hanno scelto.
I libri non fanno male, anche se possono trasformarsi in oggetti contundenti (ma solo se serve!).