Illustrazione di Napoli, foto dal web

Illustrazione di Napoli, foto dal web

Breve guida al dialetto napoletano: 1000 sfaccettature da conoscere tra accenti e apostrofi.

Il dialetto napoletano, patrimonio dell’UNESCO, fa il giro del mondo e cattura l’attenzione (e il cuore) di tutti.

Paese che vai dialetto che trovi e a Napoli, la città dei mille culure, il dialetto rafforza e anima ogni concetto che si vuole esprimere.

Il dialetto napoletano, o meglio, la lingua napoletana è tra le più conosciute ed apprezzate, grazie anche alla canzone napoletana che ha fatto il giro del mondo. “O sole mio” canzone scritta da Giovanni Capurro, nel 1898, né è la conferma, numerosi sono gli artisti che la interpretano, italiani e stranieri.

video del canale you Tube -Decca classics

La più grande interpretazione rimane probabilmente quella di Enrico Caruso, alla quale si affianca quella di Luciano Pavarotti, ma famose interpretazioni sono anche quelle di Elvis Presley e Josè Carreras.

Il dialetto di Pulcinella

Pulcinella, foto dal web

Anche la maschera più famosa di Napoli non può che parlare napoletano! Famose sono i suoi intercalari “addo sta?!”, “uè uè!”, “ammore mio!” D’altronde come dice Gianluigi Colin, in Pulcinella convivono l’esuberanza un po’ cialtronesca, il totale disincanto, ma anche lo spirito ironico e la generosità mescolata a una filosofia pratica che conduce al sapersi arrangiare sempre.

Come nasce il dialetto napoletano?

Napoli era considerata la maggiore città della Magna Grecia, infatti ancora oggi è possibile ritrovare in alcuni termini una matrice greca. Poi, quando i romani si affacciarono alla ribalta della storia, nel VII sec. a.C., prese sopravvento il Latino, perfezionato nel tempo con il susseguirsi delle varie declinazioni, soprattutto di quella spagnola.

Golfo di Napoli, foto dal web

 Quale sono le regole che caratterizzano il dialetto napoletano?

I partenopei, che da sempre sono considerati generosi, lo sono anche con le consonati. Nel dialetto le parole godono di un suono molto incisivo e rafforzato come ad esempio: amore si trasforma in ammor, cosi diventa accussì, perché il napoletano è, prima di tutto, sentimento: questa è la prima regola.

Inoltre, anche se è risaputo che ai napoletani piace prendersela comoda, quando parlano vanno di fretta, infatti spesso le vocali alla fine delle parole vengono abolite: parliamo diventa parlamm, facciamo diventa facimm (seconda regola).

Un’altra regola (non scritta) è la tendenza a rendere una frase molto teatrale: se incontrano casualmente un amico per strada, esordiscono con un clamoroso “uèèèèèè” che esprime al meglio la gioia dell’incontro, sen dimenticare di abbinare il movimento del corpo. Ma udite udite! I napoletani sono permalosi, fanno differenza sulle varie provincie.

Come ci hanno insegnato a scuola, le vocali sono 5: A, E, I, O, U., ma a Napoli è meglio abbondare: diventano 7: a, è, è, ò, o, u. La “e” e la “o” posso essere pronunciate sia aperte che chiuse cambiando il significato alle parole.

Ma sulla capacità di comunicare die napoletani, c’è una frase che esprime al meglio il loro talento: “la gestualità di noi napoletani è data dalla necessità di esprimerci, di farci capire senza l’uso della parola. Come avremmo fatto a comunicare con turchi, spagnoli, tedeschi, francesi, non potevamo mica ogni volta imparare la lingua?

Il dialetto napoletano è ricco di filastrocche divertenti che mettono allegria a chi le ascolta ed enfasi a chi le racconta. Queste filastrocche venivano spesso recitate dalle nonnine e risentirle oggi è come ritornare bambini, rievocando momenti di fanciullezza e di dolcezza infinita.

A farfallina rossa

a farfallina rossa ma muzzecate ‘o musso

nu poco e vino russo me fatte ‘mbriaca’

mannaggia cca, mannagga lla’

mannaggia a lettera e papà

nu pare e zucculillo

na rosa inde e capilline’ guaglio’ che guarda a fa’

je a mossa a saccio fa!

Il dialetto napoletano è la seconda lingua d’Italia.

Un riconoscimento importante per la città di Napoli è stato proclamato dall’UNESCO, secondo il quale il dialetto napoletano non è un dialetto ma bensì una lingua, e non una qualsiasi, ma una lingua patrimonio per l’intera umanità.

Dopo questo simpatico libretto di istruzioni sul dialetto napoletano, vi lasciamo con un detto che confuta un po’ il nostro excursus sulla comunicazione a Napoli e sapete perche? Perchè “a meglio parola è chela ca nun se dice!”