Che cos’è il sessismo linguistico? E come superare gli stereotipi nella lingua?
Il sessismo linguistico è la manifestazione linguistica della mentalità, dei comportamenti sociali, dei giudizi e pregiudizi culturali venati o viziati da sessismo.
Una lingua come l’italiano di per sé non è definibile sessista: può esserlo, invece, l’uso che ne facciamo. Il sessismo non sta nelle strutture e nei meccanismi linguistici, ma nelle nostre scelte ed esigenze di parlanti.
Perché oggi si parla così tanto di sessismo linguistico
La discussione su un uso non sessista dell’italiano prende il suo avvio in maniera strutturata con il saggio Il sessismo nella lingua italiana di Alma Sabatini, pubblicato nel 1987. Dunque, la questione non è nuova né inedita.
Ciò che è cambiato profondamente, da alcuni anni a questa parte, è il sistema dei mezzi di comunicazione, che da mezzi di comunicazione di massa sono diventati anche mezzi di comunicazione della massa: se, fino a non molti anni fa, avevamo poche persone con la possibilità di comunicare pubblicamente da una parte e lettori e ascoltatori dall’altra, adesso, grazie all’avvento dei social network, ognuno ha modo, di essere contemporaneamente emittente e fruitore della comunicazione.
Cosa sono i pregiudizi e gli stereotipi e come si manifestano nella lingua
Potremmo paragonare il pregiudizio a una sorta di reazione istintiva, non ponderata, che talvolta può portarci fuori strada, mentre in altri casi è indispensabile per non ripartire da zero nel processo cognitivo.
Con stereotipo, invece, si vuole intendere un concetto rigido o distorto di un aspetto della realtà, in particolare di persone o di gruppi sociali».
I pregiudizi possono diventare stereotipi, che a loro volta si manifestano nella comunicazione sotto forma di stereotipi linguistici:
«nelle quali si riflettono pregiudizi e opinioni, spesso negative, su gruppi sociali, professionali, etnici».
Come superare gli stereotipi
Spesso partiamo dai pregiudizi e agiamo riproducendo degli stereotipi, ma dobbiamo cercare di non rimanervi incastrati: in alcuni casi possiamo usarli come punto di partenza della nostra riflessione, in altri dovremmo lasciarceli alle spalle senza rimpianti perché limitano il nostro pensiero, la nostra visione del mondo.
I pregiudizi e la stereotipia non ledono solo un gruppo specifico di persone, ma vanno a detrimento della società nel suo complesso, perché non le permettono di evolversi in modo da comprendere tutte le infinite diversità dell’essere umano: condizione essenziale per arrivare a una società inclusiva.
Il linguaggio di convivenza delle differenze
La realtà nella quale viviamo oggi è infinitamente più complessa di una volta.
La globalizzazione, le migrazioni, internet stessa ci mettono costantemente a contatto con la diversità altrui.
Poiché noi esseri umani abbiamo timore di ciò che non conosciamo bene (siamo xenofobi nel senso etimologico della parola: spaventati dall’alterità), dobbiamo lavorare per oltrepassare questa fase istintiva nell’approccio con chi percepiamo diverso da noi.
Il linguaggio è un mezzo efficace per mettere in pratica questa necessità di convivenza delle differenze.
Nominando correttamente tali differenze non solo le vediamo meglio, ma ci abituiamo alla loro presenza, che diventa esperienza quotidiana e naturale.
A titolo di esempio, alcune aree sulle quali si può agire con un po’ di attenzione sono:
- nominare al femminile le donne nei loro ruoli professionali;
- evitare di riprodurre in testi, disegni, esempi d’uso stereotipi di genere, culturali, etnici, religiosi;
- parlare delle disabilità e delle neurodiversità senza pietismo e senza appiattire le persone su quelle loro caratteristiche;
- cercare di tenere conto delle sensibilità altrui parlando e scrivendo (ad esempio, se è vero che definiamo portoghese una persona che non paga il biglietto su un mezzo pubblico, dobbiamo renderci conto che un portoghese potrebbe venire offeso dall’uso derogatorio dell’aggettivo riferito alla sua nazionalità).
Questi sono solo alcuni esempi, riassumibili in un’operazione preliminare importantissima: dobbiamo tutti abituarci all’ascolto reciproco (su questo, rinvio agli scritti di Federico Faloppa); a dare meno cose per scontate, a tenere la mente aperta nei confronti di chi abbiamo attorno.
Altrimenti, ogni atto linguistico non potrà che essere un puro atto performativo, privo di quello spirito generativo che invece dovrebbe sostenerci in questa ricerca di una pacifica convivenza reciproca tra le diversità.