Dalla “rivoluzione degli ombrelli” alle proteste contro la legge sull’estradizione nella Cina continentale
Con un’età media di circa 45 anni, il miglior Sistema Sanitario al mondo (al secondo posto, per non dimenticarlo, è collocato quello italiano) e la tariffa più cara al mondo per la benzina, Hong Kong è un’ex colonia britannica, ritornata poi alla Cina sotto forma di provincia parzialmente autonoma. Non è solo all’avanguardia nel settore della tecnologia ma anche conosciuta per aver una delle più importanti borse valori al mondo, tanto che voci insistenti parlano di un acquisto della London Stock Exchange (la Borsa di Londra) da parte, appunto, di quella di Hong Kong. Tra i primi Paesi nel settore marittimo e dell’urbanistica d’avanguardia con grattacieli che formano uno spettacolare skyline, la città è sempre stata un’isola relativamente tranquilla ed uno dei posti migliori dove poter vivere. Almeno fino ad ora.
Gli abitanti di Hong Kong sono molto ligi al dovere: è difficile che saltino la scuola o il lavoro per partecipare a delle manifestazioni di protesta. Quindi le motivazioni che li hanno portato a scendere in piazza, ad occupare strade e a respingere gli attacchi della polizia dovrebbero, a rigor di logica, essere estremamente importanti. Ma per cosa hanno protestato e perché specialmente le nuove generazioni – ma anche le persone anziane- sono riuscite a cogliere l’importanza storica del momento – non hanno mollato la presa e continuano a protestare?
Tutto ebbe inizio il 26 settembre 2014 (teniamo bene a mente questa data!). Dopo la repressione in Piazza Tienanmen nel 1989 e quella del Tibet, ha inizio, quindi, un’altra battaglia per la libertà e la democrazia sull’Isola di Hong Kong. In questo giorno partì una manifestazione pacifica che durerà per ben 79 giorni che prese il nome di “rivoluzione degli ombrelli”. I manifestanti chiedevano, a gran voce, il suffragio universale e l’ombrello giallo, usato per ripararsi dai lacrimogeni della polizia, divenne il simbolo di questa protesta. Nell’aprile 2019, nove persone tra studenti, intellettuali ed ex politici, leaders delle manifestazioni, sono state condannate per “cospirazione ed incitamento a commettere disturbo dell’ordine pubblico” rischiando fino a sette anni di carcere.
Se la “rivoluzione degli ombrelli” è stata pacifica, la protesta iniziata il 15 marzo 2019 – tuttora in corso – è scoppiata come una bomba inaspettata per i vertici del Partito Comunista al potere. Questa volta, il motivo scatenante è stato il controverso disegno di legge sull’estradizione di latitanti verso paesi dove non vi sono accordi di estradizione. La legge fu proposta dal governo di Hong Kong nel febbraio del 2019 dopo l’uccisione di due cittadini hongkonghesi a Taiwan, l’isola di cui la Cina rivendica la sovranità. I cittadini di Hong Kong temono che, con questa legge, si metta in discussione il principio che vige da quando il Regno Unito ha ceduto la sua colonia, ossia quello del “one country, two systems” (un paese unico con due sistemi giurisdizionali diversi) e che questo possa essere solo il primo passo che porterà l’isola sotto la completa ala giurisdizionale di Pechino.
2 morti, 9 suicidi, 2100 feriti e più di 3000 arresti: questo è il bilancio provvisorio degli scontri tra i protestanti supportati da Stati Uniti e Regno Unito (accusati ripetutamente dalla Cina di interferenze negli affari interni) e le forze governative di Hong Kong e Pechino.
La lunga battaglia per la democrazia ed il mantenimento dell’autonomia dell’isola ha portato i suoi primi frutti: le scuse della governatrice di Hong Kong, Carrie Lam, che ha aperto al dialogo con i manifestanti e la momentanea sospensione dell’attuazione del disegno di legge sull’estradizione. Inoltre, nelle elezioni locali del 24 novembre 2019 si è registrata un’altissima e straordinaria affluenza alle urne e una vittoria schiacciante dei movimenti democratici (il fronte pro-Pechino ha perso, rispetto alla tornata elettorale del 2015, ben 240 seggi).
Secondo l’accordo del 1997 tra Cina e Regno Unito, Hong Kong entrerà a far parte integralmente del territorio cinese nel 2047. Il ministro degli esteri cinese, nel commentare i risultati delle elezioni, inoltre, ha rimarcato che “la città è parte integrante della Cina e che qualsiasi tentativo di danneggiare il livello di prosperità e stabilità della città, non avrà successo”. Insomma, per Hong Kong (la metropoli che insieme a Tokyo e tra le più “occidentali” d’Oriente e dove il desiderio di piena libertà e democrazia è forte) si prospettano anni ed anni di dure e difficili lotte contro Pechino. La capitale pur mostrando i muscoli, non sottovaluta l’aria che tira da quelle parti e assieme al rallentamento della crescita globale e alla guerra commerciale contro gli Stati Uniti, potrebbe portare qualche significativa crepa tra le mura del Palazzo Zhongnanhai, sede del Partito Comunista Cinese, l’unico detentore del potere politico dal 1949.