Nel complesso storico San Severo al Pendino “Le Grida Silenzione” di Giko, in mostra dal 15 Gennaio al 10 Febbraio
La comunicazione non sempre si avvale di parole o suoni, ma anche di immagini, colori e sfumature. Un artificio che si trasmette nell’arte, come in un dipinto ad olio o in una rappresentazione digitale. “L’arte è un modo per dialogare, parlare alle coscienze, […] senza dare giudizi ma coinvolgere nelle proprie emozioni”. È quanto pensa Giacoma Venuti, in arte Giko, autrice della mostra “Le Grida Silenziose”. Un progetto di arte contemporanea, incentrato sulla disperazione dei migranti, alla continua ricerca di nuove sponde, in cui ci sia pace e serenità. La mostra è stata accolta in svariate città, tra cui Napoli, dove ad aprire le porte al dolore dei migranti è il complesso monumentale San Severo al Pendino, dal 15 Gennaio al 10 Febbraio 2020. Tra gli organizzatori la dott.ssa Francesca Saviano, operante nell’ambito del comune di Napoli e dello “Spazio comunale di Piazza Forcella”.
L’artista Giko
Giacoma Venuti nasce a Messina, in un ambiente intrinseco d’arte: nonno decoratore, padre artista, zio pittore e scultore. Sin dall’infanzia coltiva l’amore per i pennelli e le tavolozze, traducendosi in opere parlanti, poiché comunicano quelli che sono i suoi sentimenti. Inoltre, da osservatrice sognante del mare, lo elegge protagonista delle sue opere, sin dal suo esordio, avvenuto nel 1984. Nel 2017 inaugura il progetto: “Le Grida Silenziose”, in cui il mare domina in tutta la sua maestosità.
Quel“strappo nel cielo di carta” (Pirandello- Il fu Mattia Pascal)
Dal 15 Gennaio al 10 Febbraio le tele esposte all’interno del complesso storico “San Severo al Pendino” comunicano con i visitatori, trasmettendo emozioni di estrema attualità. Spesso infatti, come ricorda l’autrice, si susseguono notizie sui migranti, alle quali l’umanità sembra essere immune. Così Giacoma Venuti dipinge dettagli spesso non raccontati, capaci di smuovere l’uomo dalla sua ceca indifferenza e dal sonno che lo circonda. L’impatto è forte: popoli che attraversano il mare alla ricerca di nuove terre, in cui non ci sia lo spettro della guerra, della fame e della distruzione. Purtroppo il loro viaggio è arrestato dal mare in tempesta, divenendo “Cibo per Pesci”. (Questo il titolo di un’opera suggestiva di Giko).
Il Mediterraneo diventa così “un cimitero liquido, una tomba che raccoglie i resti umani” (Giacoma Venuti), ormai lontani dalla loro terra. Sono il pranzo e la cena degli abitanti del mare, che pescati potrebbero divenire il pasto di altri uomini, (che diventano cannibali senza saperlo). Per i migranti cosa resta da dire? : mare “l’ossa mie rendete […] al petto della madre mesta”. (Foscolo-In morte del fratello Giovanni). Una madre dilaniata nel corpo e vessata nell’anima: l’Africa in lacrime per i figli persi a causa della violenza degli uomini contro altri uomini.
E nelle profondità del mare, la catena alimentare muta: l’uomo diventa la preda dei pesci, mentre loro sono i futuri cacciatori. Questa genesi avviene in “un acquario dove si dà da mangiare ai pesci. Una situazione grave, attuale che investe i sentimenti”. (Giacoma Venuti). Sono queste le immagini che Giko trasmette in molte opere, come nella “Cena è servita”. Qui un enorme mostro vuole dilaniare con i suoi denti carne umana, sotto gli occhi di un testimone quasi invisibile. Quest’ultimo a sua volta è osservato da altri spettatori, che hanno deciso di vedere la mostra all’interno del complesso. Insomma, un gioco di specchi in cui ogni visitatore resta immobile, con gli occhi spalancati e le labbra tremanti. In questo turbinio di allegorie ambivalenti, si intuisce una verità mostruosa: siamo anche noi causa degli stravolgimenti.
Una denuncia velata
Giacoma Venuti con le sue tele denuncia quanto avviene ogni giorno; le sue opere dai colori tenui, trasmettono in realtà immagini che inquietano. Contraddizioni in linea con l’ossimoro “Le Grida Silenziose”. Sono le grida dei popoli sommersi, che arrivano al cuore di chi vuol ascoltare veramente: “Voglio tornare a casa”, “Desidero la pace”, “Ho fame”, “Salvateci”.
A Napoli queste atmosfere sono incrementate. L’artista sceglie come ambientazione il Complesso monumentale “San Severo al Pendino”, poiché un luogo mistico, esoterico, capace quindi di risaltare la spiritualità dei suoi quadri.
Una mostra universale che approda anche all’Estero
Ma Giko non si ferma qui. Dopo aver valicato con le sue opere musei, palazzi di cultura, gallerie d’arte contemporanea, attraversa i confini dell’Italia. Poiché “Le Grida Silenziose” è una mostra universale, che unisce ogni uomo, che, come ricorda Giko, affronta perennemente un viaggio. La mostra sarà ad Atene e Cracovia. In Italia invece altre tappe sono Catania e Perugia.
Dal 2012 l’artista dedica la sua attenzione alla digital-art, elaborando in seguito le prime opere digitali, come le Clip Art. (Tra le quali “La particella di Dio”). Traccia di questo studio è visibile anche all’interno del complesso, tramite un’opera multimediale. Si tratta “di un compendio di opere d’olio, di smalti su tela, dotati anche essi di una loro vita”.
L’ultimo progetto a cui sta lavorando l’artista è “S.O.S.”, avente come tema la violenza sulle donne. Il suo percorso, in continua evoluzione, abbraccia i confini del disegno, della digitalizzazione e della scrittura. Una scrittura provocatoria nelle grida silenziose. Esempio è “l’eleganza della medusa”, in cui l’animale assume le sembianze di una donna e imprigiona un uomo nei suoi tentacoli, plasmando così un’unione quasi mitologica. Non sono diverse le sirene dell’Odissea, che con il loro canto ammaliano Ulisse e i suoi compagni di viaggio; creature bellissime che celano qualcosa di orripilante: quel canto significa desiderio di carne umana.
L’episodio narrato anche da Dante nella Divina Commedia:
"Io son, cantava, io son dolce serena,
che’ marinai in mezzo mar dismago;
tanto son di piacere a sentir piena!
Io volsi Ulisse del suo cammin vago
al canto mio; e qual meco s’ausa,
rado sen parte; sì tutto l’appago!"
(Divina Commedia- Purgatorio, Canto XIX)
Allo stesso modo le tele esposte nel Complesso storico “San Severo al Pendino” con un canto soave attirano quanti sono di passaggio a Via Duomo. Entrando nella cappella, i passanti diventano spettatori di una tragedia, personaggi dell’opera e infine “Cibo per pesci”. Anche loro sprofondano nel mare, perché anche se lontani, tutti gli uomini sono colpevoli.