Tra sogno e realtà. Hai mai pensato che i due mondi potrebbero sovrapporsi?

La labile differenza tra reale e virtuale

«Hai mai fatto un sogno tanto realistico da sembrarti vero? E se da un sogno così non ti potessi più risvegliare, come potresti distinguere il mondo dei sogni da quello della realtà?».

Foto dal Web-Il sogno

Con queste parole Morpheus si rivolge a Neo nel film Matrix (1999) delle sorelle Wachowski, una delle trasposizioni cinematografiche più efficaci del dibattito filosofico sulla natura ingannevole e ambigua del reale.

Platone mette in discussione le nostre certezze sensibili, descrivendo come schiavi in catene gli uomini che si affidano alla realtà più immediata.

È nel Mito della caverna, narrato da Platone nel VII libro della Repubblica (390-360 a.C.), che si individuano i primi elementi di questa lunga tradizione.

La modalità del racconto serve al filosofo per illustrare la propria teoria della conoscenza. Essa intende spiegare che il mondo sensibile non sarebbe altro che una copia sbiadita del mondo perfetto delle idee.

Nel brano di Platone, così come nel film, è la realtà più facilmente accessibile a rivelarsi sogno, illusione, inganno, con implicazioni ontologiche (cosa esiste realmente?), epistemologiche (cosa è possibile conoscere?) e morali (meglio vivere in una menzogna rassicurante o in una scomoda realtà?).

A spezzare la simmetria tra le due opere è la diversa natura del mondo reale: per Platone, la realtà richiede sforzo, ma è infine perfezione che fa da contraltare a un mondo sensibile confuso e ingiusto.

In Matrix, la realtà è diventata incubo.

Fuga dal sogno. Quando la realtà è altrove

Il sogno ha rappresentato una sfida per i filosofi che, nel corso dei secoli, hanno tentato di spiegarne origine, funzione e significato.

Dall’interpretazione più diffusa nell’antichità, che attribuiva ai sogni un carattere profetico, fino alla psicoanalisi novecentesca inaugurata da Sigmund Freud (1856-1939), orientata a riportare in superficie timori, traumi e desideri soffocati dal soggetto.

Esiste tuttavia un’altra chiave di lettura che attraversa tutta la storia della filosofia fino alla contemporaneità: si tratta dell’idea che il sogno abbia una natura ingannevole, capace di mettere in discussione il nostro rapporto con la realtà.

Il sogno come strumento della ricerca scientifica. La svolta cartesiana

Cartesio formula, nel 1641, il cosiddetto “dubbio iperbolico”, ipotizzando che sia un genio maligno a inserire nella nostra mente le immagini di ciò che crediamo di conoscere.

Pur emergendo elementi già incontrati, la prospettiva e le finalità dell’analisi cartesiana segnano una svolta.

L’obiettivo non consiste più nel rifiuto del mondo, ma nella giustificazione razionale delle nostre credenze, attraverso un percorso di ricerca che è espressione della concezione moderna della scienza. 

Lungi dall’avere trovato una soluzione epistemologica e ontologica, la controversia sullo status del mondo esterno è ancora attuale e resa sempre più affascinante dalle incessanti scoperte della scienza.

A porre nuovi interrogativi sono in particolare le teorie della fisica che, per spiegare alcuni fenomeni, devono ricorrere a entità inosservabili

A questo riguardo, si fronteggiano due posizioni filosofiche principali (seppur molto articolate al loro interno): da un lato il realismo, secondo cui se la teoria è in grado di spiegare e prevedere tali fenomeni, allora abbiamo buoni motivi per ritenere reali anche le entità inosservabili in essa introdotte; dall’altro l’antirealismo, che considera in ogni caso queste entità alla stregua di mere finzioni.

Fuga dalla realtà. Dimensioni oniriche e virtuali

Oggi, aumenta la possibilità di creare e prendere parte a spazi virtuali sempre più raffinati.

A caratterizzare le società postmoderne e la loro organizzazione non sarebbero più la produzione e il consumo, ma la simulazione.

Esperienze virtuali che, rese sempre più intense dalle nuove tecnologie dell’intrattenimento, dell’informazione e della comunicazione, si sostituiscono alla realtà del mondo esterno.

Queste riflessioni sembrano suggerire una conclusione quasi paradossale: dell’esistenza di un mondo esterno si smette di dubitare nel momento in cui quel mondo lo si abbandona per rifugiarsi in uno spazio altro.

A questo punto, per i filosofi contemporanei si pongono nuovi interrogativi: che cos’è questo spazio? È più vicino alla dimensione reale o a quella onirica? Che tipo di relazione sussiste tra reale e virtuale e quali sono le reciproche ripercussioni?