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12000 ore nel reparto: così i medici italiani sono stati candidati al Nobel per la pace

Pronti a fare il tifo per i nostri camici bianchi? Noi si e ne siamo orgogliosi. Perchè? Ve lo spieghiamo qui!

Il 21 febbraio 2020 rimarrà negli annali della storia dell’Occidente. Il mondo guardava con apprensione alla Cina e, in particolare, alla città di Wuhan, capoluogo dell’Hubei, in cui 10 milioni di persone erano chiuse in casa a causa di una sindrome respiratoria simile alla Sars. Ma, mentre i nostri sguardi erano rivolti ad Oriente, il nemico invisibile già si stava facendo strada in Europa, decidendo di palesarsi in un 38enne di Codogno, cittadina del Lodigiano, che rimbalzerà agli onori della cronaca come il punto d’inizio dal quale si propagherà l’epidemia da Covid-19.

Ospedale Civico di Codogno, provincia di Lodi. Qui è stato ricoverato per la prima volta Mattia Maestri, il paziente 1 (Foto dal Web)
https://youtu.be/M0N9V1Hurvs

Il virus, denominato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità “Sars-Cov-2”, metterà in allarme tutto il mondo ma sarà proprio l’Italia, il nostro amato Bel Paese, come in una guerra di trincea, ad essere il primo avamposto colpito.

Nel mese di marzo 2020, l’allora premier Giuseppe Conte, decise per un confinamento duro e severo, che durò per ben 3 mesi, durante i quali l’unica attività concessa era la permanenza in casa, salvo per fare la spesa o andare in farmacia (e solo un membro per nucleo familiare), distanziamento interpersonale di sicurezza di almeno 1 metro, ricerca affannosa e ossessiva di mascherine e gel igienizzante per le mani i cui prezzi salgono alle stelle.

Ma è nelle sale ospedaliere dove si consuma il vero dramma: terapie intensive, sub-intensive e reparti ordinari riconvertiti in reparti Covid presi d’assalto da pazienti con insufficienza respiratoria grave e personale medico sanitario carente, costretti a turni massacranti, cercando quale sia il protocollo medico-sanitario più efficace e mettendo a rischio le proprie di vite. In questo scenario quasi apocalittico il mantra “Restate a casa” era diventato un assillante imperativo.

18 marzo 2020, Bergamo. Camion dell’esercito trasportano persone morte a causa della Covid-19 (Foto dal Web)

Aprile 2021: non siamo ancora fuori dal tunnel, l’Italia ha superato le 100.000 vittime, il confinamento ha dato spazio al sistema di colori giallo, arancione, rosso e bianco ma, per fortuna, sono giunti i primi vaccini la quale efficacia, pare essere messa in dubbio dalle diverse varianti del virus.

Il vaccino monodose contro la Covid-19 sviluppato dalla casa farmaceutica americana “Johnson & Johnson” (Foto dal Web)

Oltre alla notizia dei vaccini, un’altra nuova si è fatta strada tra i mass media nel mondo: la candidatura al Premio Nobel per la Pace dell’intero corpo sanitario italiano per l’impegno e l’abnegazione dimostrati durante questo anno della Covid. Impegno e abnegazione che continuano tuttora e che si sono dimostrati di vitale importanza agli inizi della pandemia, quando non c’erano abbastanza fucili per vincere la guerra. Ricordiamo che sono ben 349 tra medici, infermieri, anestesisti ed odontoiatri ad aver perso la vita a causa della Covid-19 ed alcuni, che erano già in pensione, alla chiamata alle armi non sono scappati, nonostante la consapevolezza della proporzionalità che intercorre tra tasso di mortalità ed età avanzata.

Replica della Medaglia per il Premio Nobel della Pace (Foto dal Web)

Tutti noi speriamo che tale candidatura possa davvero essere l’inizio del percorso che porterà alla proclamazione della vittoria del Nobel. Eppure, questa occasione, potrebbe rappresentare proprio uno spunto di riflessione per essere onesti con noi stessi. In questa guerra, siamo e siamo stati dalla parte degli “eroi” fino in fondo? I fucili che abbiamo e che avevamo li indirizziamo verso la giusta direzione? O abbiamo contribuito (e perseveriamo) coi nostri comportamenti, a rendere ancora più difficile il lavoro del personale sanitario?

Rispondere oggettivamente e sinceramente a questi quesiti non è facile, però, guardando alcuni fatti accaduti da giugno 2020, mese in cui si concluse il lockdown, ad oggi, forse potremmo, in qualche modo, avvicinarci alla verità.

Il locale “Billionaire”, a Porto Cervo, frazione del Comune di Arzachena (SS) di proprietà dell’imprenditore Flavio Briatore, chiuso per la Covid-19 durante l’estate 2020 (Foto dal Web)

Il primo caso celebre di negligenza delle normative anti-Covid fu riportato da Canale 5, nel programma condotto da Barbara d’UrsoPomeriggio 5”: a Mondello, quartiere e località turistica di Palermo, una giornalista fa notare ad una signora che non indossa la mascherina; la risposta della signora AngelaNon ce ne Coviddi” diventò il tormentone dell’estate 2020, emblema di chi riteneva che il peggio fosse ormai alle spalle. Stessa cosa dicasi per l’imprenditore Flavio Briatore ed il suo “Billionaire”, chiuso a causa di un focolaio scoppiato tra i dipendenti ed i clienti. In quell’estate si videro attraverso il mezzo televisivo scene contrastanti con una pandemia in atto: ci fu un generale abbassamento della guardia. L’abbassamento delle temperature ed il cambio di stagione certamente ha favorito il percorso verso la seconda ondata che, tuttavia, ha avuto man forte dalle disattenzioni e, in taluni casi, dalle vere e proprie scelleratezze. Eppure gli italiani (ma non solo), durante il periodo che intercorre tra fine novembre ed inizio di gennaio, con lo shopping natalizio e le visite presso parenti ed amici non strettamente necessarie, hanno dimostrato di non aver imparato la lezione e il prezzo della negligenza è proprio questo che stiamo vivendo: terza ondata.

In ogni caso, non vi chiederemo di rispondere pubblicamente alle domande che vi abbiamo qui posto. Vogliamo solo cogliere l’occasione per ringraziare tutto il personale sanitario per quello che ha fatto e che continua a fare per noi, e dirgli a gran voce: “tifiamo per voi!!!”

E tu? Vuoi unirti al nostro grido?