La leggenda di Colapesce: il ragazzo che amava il mare e che mutò in pesce

La leggenda di Colapesce: il ragazzo che amava il mare

Arricchitasi di nuovi dettagli e suscitato la curiosità di molti, la leggenda di Colapesce ha attraversato il mondo intero. Ma da dove viene questo ragazzo, amante del mare?

Di recente una canzone in voga è “Musica Leggerissima” di Colapesce e Dimartino. Dal palco dell’Ariston il suo motivetto fresco e orecchiabile ha conquistato il grande pubblico. Inoltre il brano si adatta perfettamente alla situa (a parafrasare i giovanissimi) contemporanea: una dimensione parallela, in cui il tempo sembra proseguire sempre identico a sé stesso. Qui non esiste alcuna differenza tra il giorno appena trascorso e quello che verrà. Una sorte analoga è quella del giovane Colapesce, personaggio di un’antica leggenda. Ma procediamo con ordine.

Tutti gli autori che hanno parlato di Colapesce

Nell’immaginario collettivo Colapesce è un eroe romantico, con un unico punto debole: il mare. Il primo a parlarne è stato un poeta franco provenzale del XII secolo: Raimon Jordan. In seguito compare nelle opere dei due cronisti Salimbene e Riccobaldo. Viene citato poi, per le sue capacità di marinaio, da Cervantes nel don Chisciotte. Ma l’elenco degli autori è davvero lungo, si ricordano ad esempio Verne, Sciascia, Schiller e Benedetto Croce. Di recente invece, la leggenda è stata ripresa dal cantautore siciliano Colapesce nel suo nome d’arte.

Le varie attestazioni della leggenda

La leggenda di Colapesce è stata narrata in tantissime varianti, cambiando in base ai generi e all’estro degli autori. In primis è stata tramandata nella forma della canzone provenzale e poi come una storia per bambini. In seguito dalla tradizione orale – in cui le avventure di Colapesce erano parte del bagaglio culturale del popolo – si passa alla scrittura. Si attestano dunque alcune allusioni nella novella, nella lirica, nel dramma e in una poesia di Viviani del 1936.

Ma cosa racconta questa leggenda? Eh beh, la risposta è: dipende! Da cosa? Direte voi! Subito serviti: dalle versioni che decidiamo di scegliere, anche se le più diffuse sono quella napoletana e quella siciliana.

Versione napoletana

Nicola amava il mare e trascorreva quasi tutto il giorno ad esplorare i suoi floridi fondali. Secondo il ragazzo, nella profondità degli abissi si celava un altro mondo, costituito da tesori, coralli e navi affondate. Così, spinto dalla curiosità si lasciava ingoiare dai pesci, per farsi trasportare in luoghi lontani, mai veduti prima. Riusciva poi a liberarsi con l’aiuto di un coltellino che portava sempre con sé. La madre, preoccupata per il figlio e adirata con lui perché sembrava preferire il mare piuttosto che casa sua, gli lanciò una maledizione: “Che tu possa diventare un pesce”. Fu così che le sue gambe si trasformarono in una coda e il suo corpo iniziò a squamarsi.

Le imprese carnascialesche del ragazzo giunsero sino a Federico II, che decise di metterlo alla prova. Il Re gettò in mare alcuni suoi gioielli preziosi. Se (Ni)Cola fosse riuscito a riprenderli avrebbe preso in sposa sua figlia. Purtroppo nell’eroico tentativo, il ragazzo rimase incastrato in una grotta, senza avere più vie di uscita. Si narra che oggi il suo corpo giaccia ancora in quella grotta! Se lo avvistate, segnalatecelo!

Versione siciliana

Nella versione siciliana invece, Cola è il figlio di un pescatore. Durante un’immersione scoprì che la Sicilia era sorretta da tre colonne. Una di queste minacciava di crollare poiché, corrosa dal tempo, presenteva moltissime crepe. Il ragazzo, da fervido amante della sua patria, decise di sostituirsi al pilastro, evitando così che la Sicilia colasse a picco. Secondo la leggenda Colapesce adempie ancora al suo compito, anche se saltuariamente torna in superficie per rivedere la sua terra. Altre volte invece, stanco per l’eccessivo peso, cambia posizione, facendo tremare l’isola.

Ma le due versioni come sono nate? Questo non è dato saperlo. A Napoli risalta da subito un bassorilievo, scolpito sulla facciata di un palazzo nell’angolo di Via Mezzocannone, 9. Su di esso è raffigurato un uomo estremamente villoso, con un coltello tra le mani. Dunque, si potrebbe pensare che i napoletani, individuata l’effigie, abbiano costruito ad hoc la loro versione? Benedetto Croce in Storie e leggende napoletane esprime il suo parere: “la leggenda era originaria del Faro di Messina, dove viveva in molteplici versioni e donde era agevolmente passata in Napoli, localizzandosi presso il Porto, in quella vecchia pietra scolpita, con la quale così bene si legava”.

Sotto il bassorilievo si legge:
Curia nobilium de portu
heic ubi olim navium statio fuerat
fundata inventoque in effossionibus
Orionis signo distincta
nunc sede in elegantiorem urbis regionem
translata ne converso in privatos usus loco
longaeva vetustate facti fama aboleretur
aeternum apud seros nepotes testem
hunc lapidem hesse voluit
anno aerae Christ
. ( 1742 )
Il culto dei figli di Nettuno

Altri studiosi ancora hanno individuato un nesso con un culto tardo pagano: i figli di Nettuno. Si tratta di alcuni sommozzatori in grado di restare in apnea per moltissimo tempo. Il loro segreto era un’alga, che mangiata dava dei poteri straordinari. Questa pianta permetteva di rallentare il ritmo respiratorio, dando così la possibilità di nuotare in perfetta tranquillità. Inoltre, si narra che fossero aiutati dalla sirena Partenope nel loro sacro compito: reperire tutte le ricchezze nei pressi delle grotte napoletane. Agli adepti del culto venne dato il nome di pesce-Nicolò.

Le varie interpretazioni che si sono susseguite in questi secoli di storia restituiscono linfa vitale al giovane Colapesce, che veglia o riposa in punto impreciso del mare. E voi quale preferite? E soprattutto, lo avete mai adocchiato Colapesce e dove?

Qualunque siano le vostre risposte, ci auguriamo che la sua energia possente possa arrivare fino a voi, per darvi la forza di andare avanti e di tenere duro in questo mare continuamente in tempesta!